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il dio Marte

 

Nicolo' Carosio

vedi la carta del cielo di Nicolo' Carosio

 

autografo con dedica di Nicolo Carosio

Nicolo' Carosio 15 III 1907 ore 09.15 am
Palermo (I) Lat. 38N07 Long. 013E22

 

E' stato la prima, grande, inconfondibile "voce" del calcio, la "colonna sonora" di un film durato 39 anni. Tenne a battesimo la radio e poi la televisione, giungendo a identificarsi con l'idea stessa del pallone. Un po' come il compianto Adriano De Zan e' stato il ciclismo o il mai dimenticato Aldo Giordani il basket.

Nicolo' Carosio era un uomo fortunato, cosi' amava definirsi. E per spiegarsi raccontava con emozione di avere scampato, solo per caso, la tragedia di Superga: "Dovevo partire con la squadra. Avevo gia' consegnato il passaporto alle Autorita'. Rinunciai all'ultimo momento, in seguito anche all'insistenza di mia moglie Eugenia, per essere presente alla cresima di mio figlio. Al posto del sottoscritto sali' sull'aereo Renato Tosatti, il giornalista della Gazzetta del Popolo, uno scrittore pieno di humour, padre di Giorgio. Fu lui in pratica a morire al mio posto".

Di fortuna, comunque, Nicolo' Carosio ne aveva fatta tanta partendo da Palermo, dove era nato il 15 marzo 1907 nell'antico quartiere arabo dei Seralcadi, nel palazzo del nonno Nicolo' la cui libreria, nel ventre della citta', era una sorta di cenacolo letterario. Il padre, genovese, era funzionario di dogana e i suoi continui trasferimenti di sede fecero fare a Nicolo' un vero giro d'Italia: da Palermo a Domodossola, da La Spezia a Torino, da Genova a Venezia e poi a Milano. La madre, Josy Holland, era una pianista inglese di Malta e fu la frequentazione degli ambienti britannici a trasmettere al giovane Nicolo' la passione per il calcio, oltre a un tratto signorile di stampo anglosassone e alla predisposizione alla conoscenza delle lingue.

Nel liceo dei Salesiani a Torino organizzava tornei di calcio fra le classi; poi fece il giornalista dilettante, occupandosi di pugilato, per il "Giornale di Genova" e il "Telegrafo" di Livorno. Ma la vera folgorazione l'ebbe nel corso di un soggiorno inglese con la madre nel 1931, quando scopri' Herbert Chapman, il celebre allenatore inventore del "Sistema". Lo senti' alla radio commentare le partite ed ebbe l'idea: perche' non raccontarle in diretta, le partite, anziche' commentarle a posteriori? Laureando in giurisprudenza, impiegato presso la Shell, dopo il trasferimento da La Spezia a Venezia, comincio' a elaborare l'idea esercitandosi nel retrobottega di un piccolo negozio di radiofonia.

Agli inizi del 1932, scrisse all' EIAR (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche), progenitore della RAI, proponendo appunto la radiocronaca di una partita di calcio. Il 27 aprile 1932 la EIAR gli rispose con questo telegramma:

Disposti accettare sua offerta preghiamola confermare telegrafo sua venuta primo maggio Torino, rimborso lire 250 totali. Cordialita'.

Lui stesso raccontava come ando': "Mi dicono: mostri quello che sa fare. Mi sono inventato una partita tra Juventus e Bologna con molte reti e molto movimento, ho parlato per un quarto d'ora senza fermarmi; non pensavo piu' a niente: ero solo con la partita di calcio. Dopo due domeniche, mi invitarono a provare a circuito chiuso in via Arsenale 21 e poi feci un'altra prova, sempre a circuito chiuso. Non ho scordato l'elogio del direttore generale Chiodelli: "Bene, bene, giovanotto, ne ha di voce, lei..". Da quel momento non mi fermai piu'. Ho trasmesso tutte le partite dell'Italia... La mia prima partita alla radio e' stata Italia-Germania a Bologna nel capodanno 1933, ma che faticaccia per conciliare l'occupazione di radiocronista con il mio lavoro di consulente legale che mi corrispondeva uno stipendio mensile di settecento lire, tanto per quei tempi. Treni, sempre in terza classe, tutto di corsa. Finiva la partita e correvo per non perdere il treno, altrimenti erano guai. I permessi che mi venivano concessi dalla mia ditta non potevano essere dilazionati. Io non potevo fermarmi, dovevo correre. Forse anche per questo diedi subito alla mia radiocronaca un'impronta modernamente dinamica. Non c'era tempo da perdere".

In realta', l'idea non era proprio originale. Il primo esperimento di radiocronaca risaliva infatti al 25 marzo 1928, quando le grandi aspettative per la prima partita della Nazionale a Roma, contro l'Ungheria in occasione dell'inaugurazione del nuovo stadio (il futuro Flaminio), aveva indotto il direttore romano dell' Eiar, comandante Senigaglia, a incaricare un giornalista, Giuseppe Sabelli Fioretti, di effettuare la trasmissione delle fasi salienti della partita.
L'esordio "vero", non piu' sperimentale, rimase pero' quello di Carosio del 1 gennaio 1933, in occasione di Italia-Germania a Bologna. Dopo due minuti iniziali di imbarazzante silenzio, Carosio parti' per la sua avventura e nacque la radiocronaca. Fu lui, l'anglo-palermitano, a inventarne di sana pianta il linguaggio anche per motivi di necessita', essendo all'epoca la terminologia tecnica quasi tutta di origine britannica e non gradendo il Regime espressioni di lingua inglese. Il "mani" lo invento' lui, dall'inglese "hands", e poi "rete" in luogo di "goal", "angolo" per "corner", "traversone" per "cross"e cosi' via. L'innovazione ebbe un che di rivoluzionario. Bastava girare la manopola della radio per proiettarsi in uno stadio lontano: "E' Nicolo' Carosio che vi parla", era quello il biglietto per entrare; il resto lo faceva la sua voce calda, leggermente roca, la dizione perfetta, l'intonazione professionale. Elementi che non lasciavano sospettare le condizioni spesso proibitive in cui si trovava a lavorare. La sua "postazione microfonica" era quasi sempre a bordo campo, con apparecchi spesso recalcitranti a concedergli la linea, esposti com'erano alle intemperie e magari alle intemperanze della gente. Innovatore per vocazione, Carosio fu il primo a intervistare un giocatore in diretta.

Nicolo Carosio in una foto del 1934 durante i campionati del mondo di calcio  che si disputarono a Roma dal 27 maggio al 10 giugno
Nicolo Carosio in una foto del 1934

Accadde ai Mondiali del '38 in Francia, dove a bordo campo si vide passare davanti Meazza prima della partita col Brasile; lo fermo' e lo fece parlare ai microfoni, e gli ascoltatori in Italia (i privilegiati che possedevano una radio e quelli che ascoltavano per strada dagli altoparlanti) poterono ascoltare il "Balilla" che prometteva la vittoria; promessa poi mantenuta.

Poi arrivo' la televisione e qualche maligno insinuo' che per Carosio sarebbe stata la fine, perche' i suoi bluff sarebbero stati smascherati. In proposito Gianni Brera nella sua "Storia" non fu tenero:

"La gente si ferma in strada ad ascoltare gli altoparlanti che diffondono le cronache della partita. La voce e' quella di Nicolo' Carosio, che ha la giusta vibrazione epica. Le parole sono poche e schiette, cosi' che le captano tutti. Quel che avviene sul campo non e' precisamente quel che racconta Carosio, ma importante e' sentire la partita, non vederla. Forse non la vede neppure Carosio, e ne avremo flagranti prove quando le radioline a transistor consentiranno di ascoltare anche allo stadio. Il bravissimo cantore dei nostri prodi azzurri avra' allora frequentissime beghe da parte di tifosi insoddisfatti: la sua cabina dovra' venir presidiata e difesa dai carabinieri: insulti irripetibili verranno lanciati al suo indirizzo: e il buon vecchio Nicolo' a stirare la faccia in smorfie altere e nobilmente distanti".

In verita', la televisione non guasto' Carosio, che si adatto' al nuovo mezzo senza temerne la spudoratezza con cui rendeva visibile e dunque immediatamente riscontrabile cio' di cui prima era esclusivo depositario il narratore. Non tutti la pensarono cosi' e a poco a poco Carosio venne fatto oggetto di critiche pesanti, come se certi errori (scambi di persona, fatti accaduti in altra parte del campo di cui non si accorgeva) non fossero connaturati a quel difficile lavoro. E comunque, a dispetto di tutto e tutti, certe sue espressioni, certi suoi vezzi, lo avevano gia' preceduto nella leggenda. Come il "Quasi gol!" o gli ordini perentori a giocatori svogliati "Rivera, alzarsi e camminare!" o al massaggiatore "Spugna!". Persino i toni epici e retorici si annacquarono opportunamente con l'andar del tempo, senza tuttavia perdere quell'impronta di patriottismo che durante le partite della Nazionale ne rimaneva una sorta di marchio di fabbrica.

E fu proprio un eccessivo amore per la nostra Nazionale a farlo scivolare, quando, nel corso di Italia-Israele ai Mondiali di Messico '70, critico' una decisione del guardalinee etiope Seyoum Tarekegn che aveva convinto l'arbitro, il brasiliano Vieira De Moraes, ad annullare per la seconda volta un goal degli azzurri: "Ma cosa fa?... Cosa vuole quel negraccio?!...", esclamo'.

Non importa sapere (le registrazioni audio dell'epoca sono controverse), se "Nick and soda", come lo chiamavano i vignettisti del "Guerin Sportivo" lesti ad infierire sulla propensione del telecronista per un buon whisky, non importa sapere, dicevamo, se quella frase varco' la soglia dell'etere oppure no. Sappiamo, invece, che le conseguenze furono dirompenti. L'ambasciatore dell'imperatore Haile' Selassie' protesto' vivacemente con il governo di Roma e Palazzo Chigi, ancora memore dei disastri coloniali del Duce, si prostro' in mille scuse. La diatriba indusse la Rai, nella figura del direttore generale Ettore Bernabei, a togliergli le cronache dell'Italia affidandole al "vice" di allora, Nando Martellini. Fu l'occasione per emarginarlo, subissato ormai com'era di critiche che respingeva con sempre piu' malcelata insofferenza. Ando' in causa con la Rai, che lo aveva sempre utilizzato come collaboratore e non come dipendente, e ottenne ragione. Era prossimo alla pensione e quando vi ando', nel 1971, per tutti, e non solo per gli amanti del calcio, fu come perdere un amico, un "compagno" di tante belle avventure.

La sua scomparsa, avvenuta a Milano il 27 settembre del 1984, suscito' scarne commemorazioni, segno di un oblio immeritato e colpevole.
Nel marzo del 2007, in occasione del centenario della sua nascita, le poste italiane gli hanno dedicato un francobollo commemorativo.


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